Ha ricordato il 50° di sacerdozio in Basilica nella festa patronale di San Giuseppe
In occasione della festa patronale di San Giuseppe la messa solenne di domenica 16 alle 10,15 è stata presieduta dal concittadino padre Giuseppe Mariani che ricordava il cinquantesimo di sacerdozio.
Nato a Seregno il 2 febbraio 1947 da mamma Celestina e papà Vincenzo, per moltissimi anni sacrestano appassionato e orgoglioso della Collegiata poi elevata a Basilica, padre Giuseppe è cresciuto negli ambienti della parrocchia facendo il chierichetto e da adolescente il confratello del Santissimo Sacramento.
“Mi piaceva portare nelle processioni lo stendardo o il baldacchino o i cilostri. Studiare – confida – non era il mio forte. Ho frequentato l’ avviamento commerciale, poi la scuola professionale Pirelli e il lavoro in azienda.”
Come è nata la sua vocazione?
“Era il 4 ottobre del 1964, domenica, ed ero corso a partecipare annoiato alla messa vespertina. Ero distratto, quando ho avuto una illuminazione: fatti prete! Ma come fare? Come dirlo? Come credermi? Il cielo si schiarì quando venni a sapere che nel seminario di Venegono Inferiore c’era una sezione per le “vocazioni adulte”. Dopo i primi contatti l’anno seguente raggiungevo la meta desiderata. Quanta fatica sui libri, ho tenuto duro, avevo un sogno da realizzare… ci sono voluti 10 anni di seminario. Devo ringraziare la mia famiglia per il suo sostegno sia a livello di condivisione della mia scelta, sia economico, senza di loro forse non porterei la talare.”
Il 7 giugno 1975 è stato ordinato sacerdote per mano del card. Giovanni Colombo.
“Finalmente prete, giorno di gaudio! Il nostro motto era ed è: uomini per la speranza”.
Come e perché ha trascorso il suo sacerdozio tra i padri oblati missionari di Rho?
“Dopo il quarto anno di teologia, durante le vacanze estive – racconta padre Giuseppe – ho partecipato ad un corso mensile di esercizi spirituali a villa Sacro Cuore di Triuggio. Un pomeriggio riflettevo e pregavo per discernere il mio futuro, ed ecco un’altra illuminazione: i padri di Rho! Non li conoscevo, non avevo mai pensato a loro, non mi sentivo nato per predicare e neppure adatto ad una vita comunitaria, dopo dieci anni di seminario. Me la cavavo abbastanza bene negli oratori e pensavo di finire in uno di questi.
Per spiegare la mia scelta cito Sant’Agostino quando scrive nel libro delle Confessioni ‘mi hai chiamato, hai gridato e hai vinto la mia sordità. Hai mandato bagliori, hai brillato e hai dissipato la mia cecità’. Paragono le mie due ‘illuminazioni’ ai sogni di san Giuseppe nei momenti critici della sua vita. Del patrono della nostra Basilica porto il nome ma ho preso anche lo stile: vita senza scintille ma bella”.
In cosa consiste il ministero dei missionari di Rho?
“Il ministero dei padri oblati missionari di Rho, quando vi sono entrato, era fondato, sulla catechesi; con l’arcivescovo Carlo Maria Martini la predicazione scaturiva dalla Parola di Dio. Il credente che non vive l’ascolto della Scrittura è come un corpo senza scheletro, senza spina dorsale. Infatti dove attingiamo la fede? E’ un dono ricevuto con il battesimo. Poi accade nella vita che la fiamma della fede si affievolisca. Resta una brace che ha bisogno di essere ravvivata dalla Parola divina, ascoltando il Vangelo come dice san Paolo”.
Com’è composta la comunità di Rho?
“Attualmente siamo in nove, più altri sacerdoti presenti per motivi diversi, oltre a due fratelli oblati e due diaconi permanenti. La vita d’insieme è evangelizzazione”.
Cinquant’anni di sacerdozio, come vive questa importante tappa del suo cammino sacerdotale?
“Sono contento della mia chiamata, di essere prete! Ho compiuto il mio cammino nel mare della storia ricca di burrasche e risurrezioni, avendo come direzione le parole della prima lettera di San Giovanni: Dio è amore”.