Domenica 22 settembre l’arcivescovo Mario Delpini torna in città

Domenica 22 settembre l’arcivescovo Mario Delpini torna in città (è la prima volta quest’anno anche se negli anni scorsi è venuto in diverse e numerose occasioni). Celebrerà la messa in piazza Concordia (nome evocativo) davanti alla Basilica tra l’altro nella festa che ne ricorda la dedicazione, inaugurazione ed elevazione e nella tradizionale ricorrenza del Santo Crocefisso.

Ma il motivo per il quale il prevosto mons. Bruno Molinari l’ha invitato è il decennale della istituzione della comunità pastorale cittadina dedicata a san Giovanni Paolo II la cui statua campeggia proprio sulla piazza della messa a ricordo della sua visita ma soprattutto del profondo e lungo legame spirituale con la Chiesa seregnese.

Delpini torna dove il suo predecessore, il card. Angelo Scola aveva tracciato linea e coordinate di un percorso che si è andato via via sviluppando non senza difficoltà e momenti difficili a livello civico, sanitario e sociale seppur di carattere generale, interno alla stessa comunità cristiana, ma anche con risultati lusinghieri, veri e propri frutti e doni, certo grazie ad un impegno ma soprattutto per grazia dello Spirito.

Nel progetto pastorale che era stato elaborato dal consiglio pastorale unitario nel 2018 dal titolo “Capaci di parlare lingue nuove” le tre priorità di azione e impegno, ovvero giovani, famiglia, carità non sono rimaste sulla carta ma si sono via via concretizzate generando azioni e situazioni e realtà che sono evidenti e si possono toccare con mano.

In attesa di cosa dirà l’arcivescovo e di quali consegne darà (anche se nella proposta pastorale 2024/2025 “Basta. L’amore che salva e il male insopportabile” ha già espresso il suo pensiero anche sulle comunità pastorali che probabilmente richiamerà, la Chiesa locale si è già comunque confrontata sul tratto di strada percorso in modo unitario in questi dieci anni. Un tempo di certo ancor breve in rapporto e a confronto con la sua storia più che centenaria.

Lo ha fatto con gli Stati generali di sabato 14 con una partecipazione che poteva sicuramente essere maggiore ma che comunque è stata meritoria, sicuramente convinta e probabilmente più che gratificante per chi vi ha preso parte.

Non si è trattato di fare un bilancio della ‘holding’ san Giovanni Paolo II data la sua multiforme presenza cittadina pressochè in tutti gli ambiti, non solo spirituali, dall’educazione al sociale, dalla cultura allo sport, alla comunicazione, con attenzioni intergenerazionali di non secondaria importanza. Si è trattato prima di tutto e soprattutto di un ascolto, in puro stile e anche spirito sinodale, nella piena concretezza del suo significato talvolta astratto e nebuloso quando tracima nel puro ‘ecclesialese’.

I contributi iniziali e finali dei due teologi, don Francesco Scanziani e don Martino Mortola, limpidi quanto sostanziali nel dare ‘ragione’ di quel confronto, hanno racchiuso i dodici interventi di altrettanti laici, donne e uomini, di età diverse, che hanno ciascuno disegnato le traiettorie passate, presenti e future dei tanti ambiti, se non proprio ‘carismi’, in cui e per cui la comunità si è espressa in questi dieci anni.

Ho anticipato da moderatore e da responsabile di questa testata che riprenderemo quei contenuti esposti, in tempi e modi da definire, perchè l’ascolto, il confronto e mi auguro anche il dialogo sulle parole, ma soprattutto sulle esperienze di vita pastorale presentate, con tutte le problematiche e le complessità ma anche con tutte le potenzialità e possibilità e aperture connesse, si alimenti ancor più e aiuti a generare ulteriori ‘semi di speranza’ di cui anche questa comunità, questa città, i suoi cristiani, la sua gente hanno bisogno.

Ma dagli Stati generali è uscita con tutta probabilità anche la percezione, se non ancora la convinzione, che i laici impegnati a vario titolo e ruolo in forza della propria fede personale e non solo tradizionale, abbiano preso o quantomeno stiano prendendo consapevolezza della responsabilità che la Chiesa seregnese di oggi ma soprattutto di domani dipende non solo, ma soprattutto da loro. Insieme a pastori che saranno sempre meno numericamente, ma che soprattutto saranno meno ‘manager’ o amministratori più o meno delegati della ‘holding’ e invece sempre di più ‘compagni di viaggio’ sulla strada di Emmaus per farci conoscere e riconoscere la strada della salvezza, l’unica, Gesù Cristo. 

Parafrasando una frase simbolo del mio mestiere (“E’ la stampa bellezza e tu non puoi farci niente”) potremmo dire che “E’ un cambiamento d’epoca” (cit. papa Francesco, Firenze 2015) bellezza e tutti possiamo, dobbiamo, non qualcosa, ma tanto, e di più.

Luigi Losa 

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