Oggi è difficile dire “pace” senza rischiare di bestemmiare questa santa parola. Vedete, averci fatto sentire che “la storia è costruita da pochi”, è servito a toglierci la responsabilità e la creatività. In questi ultimi anni ci hanno tenuto separati tra noi, in noi stessi, ci hanno disperso; hanno fatto di tutto per confonderci, per renderci muti, soli e avvelenati.

Spesso ci sono alcune persone che dall’alto ci giudicano, ci definiscono e pensano di avere la comprensione totale sulla vita. Ma c’è qualcosa di molto più inedito nella vita di ciascuno. Io non credo che siamo così poveri come dicono e non c’è solo il male. Esistono i prepotenti che ne se fregano di tutto, ma esistono anche mamme pronte a curare ogni ferita, c’è anche chi cerca l’arte della vita insieme, dell’attenzione, dell’immaginazione. La pace dovrebbe essere questo: unire e piantare insieme. Io credo che la pace si possa fare con poche cose, con piccoli gesti, con onestà. Siamo un piccolo segno, per dire che si possono cambiare le cose. 

  

Vedete, la parola “disperare” vuol dire “non vedere nemmeno una possibilità”. La parola “speranza” è “vedere almeno una possibilità”. E noi siamo qui per dirci che almeno una ce n’è di possibilità e c’è sempre. Vi affido tre spunti per il nostro futuro. Il primo: far nascere le cose come un fiore che sboccia, senza tanta programmazione e senza tanti progetti. Spontaneamente senza forzature. E un fiore che sboccia richiede solo un po’ di luce e di calore, un po’ d’acqua. Il secondo: tenere sempre il focolare acceso e la porta aperta. Come diceva Emily Dickinson: “Non sapendo quando l’alba verrà, lascio aperta ogni porta”. Il terzo: Dio non butta via niente, ma tutto trasforma. Ecco le tre realtà da cui ripartire per il futuro di questo nostro mondo: far fiorire le cose con spontaneità; riuscire a tenere la porta aperta e il focolare acceso per chiunque si affacci nel nostro cuore, perché lo possa trovare sempre accogliente e disponibile; e pensare che non si butta via niente, che c’è sempre qualcosa da salvare, che non bisogna perdere niente di ciò che è vivo. - don Luigi Verdi