Tratto da "Santuari Italiani"
Ricostruire il passato non è mai agevole. E diventa tanto più arduo quando mancano documenti solidi, accertati e, quindi, attendibili. Il problema si pone anche per chi voglia investigare un po’ le origini di questo Santuario e del suo culto.
A quando risale il primo tempietto? Al secolo XIII, come vorrebbe Goffredo da Bussero? Questo storico (nato nel 1220 e morto nel 1289) è autore di un prezioso “Liber notitiae Sanctorum Mediolani”, in cui ricorda anche un antico “oratorio” (= chiesetta) di S. Valeria; senonchè colloca la cappella nel vicino territorio di Mariano (“in Marlano”) e non in quello di Seregno.
Errore? Inesattezza? Approssimazione? Oppure possiamo addirittura far credito a quelle voci raccolte da Don Giacomo Vergani, voci secondo cui su una parete dell’antico Santuario ci sarebbe stata questa iscrizione: “hoc templum Sanctae Valerie 161” (questo tempio di S. Valeria 161)? Nella data – si argomenta- sarebbe scomparso l’1 iniziale : per cui si potrebbe pensare che il primo “oratorio” sia stato edificato nel 1161.
Come si vede, si naviga nell’incertezza, quando si vogliono stabilire delle date. Qualcosa di più possiamo dire per quanto concerne la forma del santuarietto. Don Natale Longoni, partendo da una “delineatio” (= descrizione) che ancora possediamo, ha ricostruito così un tempietto (figura…) che, a detta dei documenti, sarebbe stato eretto “ad immemorabili” (= in data remota e imprecisata). “ Era – scrive Don Longoni – uno strano aggregato di edificio, di cui la più piccola porzione (una cappelletta di soli cubiti 13 di lunghezza per 9 di larghezza) rappresentava la parte propriamente dedicata al culto dei Santi Martiri tutelari. La porta principale di fronte all’altare metteva nel piccolo cimitero o piazzaletto “ante ecclesiam”, ombreggiato da piante e da gelsi. L’altra porticina, più piccola e ricavata nella parete sud della cappella, dava accesso ad un secondo corpo di fabbricato, il quale fiancheggiando la Chiesuola, si estendeva tra essa e la strada per una lunghezza di 25 cubiti per 12 di larghezza. Il tutto allineato sul lato destro della via che da Seregno conduceva a Meda.
Che l’edificio constasse di diverse parti – di una cappella, almeno e, adiacente ad essa, di un porticato- è confermato anche da Padre Leonetto Clivone che, visitando il 27 settembre 1567 la chiesa-oratorio, l’aveva appunto descritta così : “divisa in duas partes” (divisa in due parti).
Quando S. Carlo in visita pastorale nel territorio di Desio, venne a Seregno il 12-13 Luglio del 1579, trovò l’edificio fatiscente e già diroccato. Ordinò perciò di abbattere una parte del porticato e di costruire, sulla parte restante una sacristia per custodirvi, al sicuro dai ladri, la suppellettile della Chiesa. Ordinò ancora che i materiali di recupero della demolizione venissero impiegati per la Chiesa parrocchiale di S. Vittore. Nel 1596 non solo la demolizione non era effettuata, ma forse nemmeno incominciata, tanto da produrre da parte del visitatore, il gesuita vicentino Don Baldassarre Cipolla una seconda ingiunzione, preziosissima e adattissima, a ragguagliarci sull’antichità stessa del tempio. Afferma, infatti, il Delegato che anche il vasto e cadente locale a sud del Santuario era stato in tempi precedenti una Chiesa, essendovisi in essa anche celebrato : “A parte meridionale (Ecclesiae)….. patet accessum in locum….tecto coopertum et vetustate quasi consumptum ……relatum alias fuisse in eo celebratum ac fuisse Ecclesiam”.
Più tardi nel 1611 anche il Card. Federico Borromeo (il manzoniano “cardinal Federigo”) venuto a visitare il Santuario, ribadì l’ordine del suo grande cugino e predecessore: dato che il suddetto portico a sud del Santuario – un tempo luogo di culto – si era trasformato in un ricettacolo per gli animali e ricovero “ad recipiendos nefarios homines aptissimum” (= adattissimo per ospitarvi i malviventi) e dato che l’edificio era ormai del tutto irrecuperabile, decretò che venisse demolito completamente e che si ampliasse, invece, con dei portici, la parte anteriore del Santuario. In questo modo il presule intendeva conferire dignità, compostezza e nitore a questo oratorio caro alla devozione dei seregnesi e delle popolazioni vicine. Ma venne la peste: dapprima la carestia del 1627-29 e poi la peste del 1630. Questo impedì che gli ordini dei due Vescovi milanesi trovassero la loro pratica attuazione. Di più: sulla parete che il porticato aveva in comune con la chiesa doveva esserci dipinta l’immagine della Madonna, proprio vicino alla porta che metteva in comunicazione le due parti dell’edificio. Nessuno avrebbe osato rimuoverla.
Frattanto, nel 1614 una nobildonna di Seregno, Donna Maddalena Mandriana, moglie di Ercole Galbiati, aveva disposto – lasciando erede delle sue sostanze la “veneranda scuola di S. Vittore di Seregno” – che ogni giorno, da Pasqua a S. Martino, venisse celebrata una S. Messa nell’oratorio di S. Valeria, per consentire ai devoti di questo Santuario di partecipare in esso al divin sacrificio. Più tardi, questa celebrazione quotidiana venne sostituita dalla S. Messa festiva durante tutto l’anno.
Solo verso la metà del secolo (1650) il vecchio edificio venne demolito per edificarvi un tempio più degno. ( fig.3) “Ormai la devozione alla Madonna aveva soppiantato quella dei due Santi o, per meglio dire, i due culti si erano associati, per cui si volle edificare il nuovo tempio proprio sull’area del vecchio porticato, che conteneva la venerata effigie. Il popolo e il parroco – Don Giovanni Perego – avevano il permesso di fare tale cambiamento, si posero alacremente all’opera, e dopo soli tre anni il Santuario era già quasi ultimato, come è stato attestato dalla relazione fatta dal Visitatore Monsignor Filippo Maria Visconti in occasione della visita pastorale avvenuta nell’anno 1653. L’effigie della Madonna veniva a trovarsi nella nuova costruzione sul lato nord ossia alla destra entrando e non sull’altare maggiore”. Nella nuova chiesa, più grande e più elegante dall’antico oratorio, si provvide, un secolo dopo, su invito del Card. Giuseppe Archinto, allora Arcivescovo di Milano, ad ampliare e ad abbellire l’antico altare della Vergine con marmi lisci a varie tinte. Anche l’immagine della Vergine venne protetta con un prezioso cristallo (l’oratorio rimaneva “regolato” dalla scuola di S. Vittore, i cui iscritti versavano abbondanti elemosine).
Il secolo scorso ha registrato una gara di generosità e di interventi in favore di questo tempio mariano. L’ organo venne rinnovato (1806) e si provvide ad una nuova balaustra e alla nuova suppellettile (1807). Si acquistò del terreno dal marchese Marco Antonio Odescalchi per realizzare, su iniziativa del Dott. Angelo Maria Formenti, il vasto piazzale antistante il Santuario (1811).
Più tardi nel 1839 l’interno della chiesa venne impreziosito da due affreschi (“Mosè ed il roveto ardente” e “Abigail davanti a Davide”) disegnati da Giuseppe Sabatelli ed eseguiti dal fratello Luigi. Due anni dopo nel 1841 venne rinnovato anche l’altare della cappella maggiore, dedicato ai Santi Martiri Vitale e Valeria.
Nel 1865 ( o 1862?) la chiesa venne anche ampliata. L’effigie della Madonna venne trasportata, ad opera dell’abate Luigi Malvezzi, sull’altare maggiore, mentre per i Santi Vitale e Valeria venne costruita una cappella laterale.
Il campanile, dotato di tre campane, benedette dal Patriarca Ballerini, venne aggiunto nel 1881. Nel frattempo, il 15 novembre del 1831, il Papa Gregorio XVI aveva concesso l’indulgenza plenaria e la nota storica inclusa nel già menzionato Ragguaglio scrive in proposito: “Nella domenica ultima del mese di aprile, giorno in cui celebrasi nell’oratorio la festa di Santa Valeria, havvi una straordinaria affluenza di popolo, che dai paesi circonvicini ed anche da lontani, mosso da devozione verso la Beata Vergine e verso Santa Valeria, viene qui a domandare e ad ottenere grazie. Nella mattina di detto giorno dalla chiesa prepositurale di S. Giuseppe in Seregno si incammina la processione a questo oratorio, nel qual giorno havvi colà indulgenza plenaria……. Verso mezzogiorno vi ha messa solenne, e a sera si termina la festa coi vesperi e colla benedizione dell’Augustissimo Sacramento”.
L’idea di erigere un nuovo Santuario – Più bello e più capace, visto l’afflusso crescente dei fedeli che accorrevano da ogni parte – si fece strada già alla fine del secolo.
Già Don Natale Longoni . strenuo sostenitore, come s’è detto della necessità di costruire un Santuario più ampio e fervido promotore di detta causa, riceveva il 22 settembre 1888 da Luigi Mantegazza un primo abbozzo in cui si prevedeva un edificio esagonale su cui si innestavano, quasi tentacoli, tre ampi corpi.
Nel 1906 il Card. Ferrari approvava una prima commissione destinata appunto allo studio di un progetto che si sarebbe voluto grandioso. La designazione di Mons. Dalmazio Minoretti – il prevosto di allora – a Vescovo di Crema bloccò, momentaneamente, i propositi. Il nuovo prevosto, Mons. Enrico Ratti, costituì una nuova commissione, la quale prese in esame i diversi progetti.
Un primo disegno (1903) dell’architetto Barbieri, svolto in diverse versioni, presentava un edificio a croce latina, turrito, massiccio, con campanili e cupole, rivestito di marmi policromi disposti in strisce orizzontali e parallele. Lo stesso architetto Barbieri, nel 1916, disegnava un nuovo progetto: un’ampia navata di 36 metri con 8 cappelle laterali e un’abside semiottagonale con incorporato campanile.
Una terza proposta (1919) dell’architetto Ambrogio Silva prevedeva pure un edificio a croce latina, con un imponente campanile gotico incorporato sulla facciata. Oltre alla chiesa, questo ambizioso progetto prevedeva anche due edifici, disposti armonicamente attorno ad essa, destinati alla casa prepositurale e ad un probabile collegio. Ma la sorte di erigere alla Madonna di S. Valeria il novo tempio tocco all’Ing. Spirito Chiapetta il quale, in data 27 giugno 1922, accettò di mettere a punto il progetto definitivo.
Nel frattempo il prevosto Ratti aveva acquistato dalla famiglia Gheroni un appezzamento di 2800 mq. e, il 1° ottobre di quello stesso anno, Mons. Minoretti poneva la prima pietra dell’erigendo Santuario. I lavori iniziarono l’anno dopo e si protrassero per sette anni.
Solenni festeggiamenti coronarono il compimento del Santuario. Il 29 settembre 1930 il Card. Ildefonso Schuster, Arcivescovo di Milano, lo consacrava. Erano presenti gli Eminentissimi Card. Achille Locatelli, nativo di Seregno, e Card. Dalmazio Minoretti, già prevosto di Seregno.
Il Santuario, a croce latina con tre navate e con absidi spaziose, ripeteva alcuni elementi dello stile gotico-lombardo. “ Questo gotico-lombardo- scrive Don Giuseppe Rimoldi, parroco emerito del Santuario – ha una sua sottile malìa, che ti prende al cuore e te lo tiene sospeso in una sacra commozione. Ti parla di slancio, di ascesa colle sue svelte colonne diritte e sottili come steli, colle volte ardite a sesto acuto, colle finestre altissime e strette, una ricca decorazione floreale canta nella varietà dei simboli le glorie di Maria.
La lunghezza del Santuario è di m. 50, la larghezza del transetto di m. 30, della nave di m. 20; la superficie totale è di circa mille metri quadri. Sull’Altare Maggiore, in un magnifico trittico di legno dorato e intagliato, troneggia la venerata immagine, restaurata e riportata su tela dal professore Francesco Anonni e dal pittore Carlo Pianca. Gli angeli che le fanno corona sono del pittore Eugenio Cisterna, mentre le pale dell’altare del Sacro Cuore e di S. Giuseppe sono della nipote Letizia Giuliani. Degli stessi sono i cartoni delle magnifiche vetrate del coro e della facciata, mentre le altre vetrate sono uscite dal laboratorio del prof. Mario Albertella. I due medaglioni in bronzo sull’Altare Maggiore di S. Tarcisio e S. Chiara sono dello scultore Franco Leveni. Sei magnifici candelabri di bronzo dorato, lavorati dal Guelfi su disegno del Chiapetta ornano l’Altare nelle maggiori solennità. Il pulpito, i confessionali, la credenza e il presbitero sono di Annibale Pagnoni, lavorati dagli Artigianelli, i quali fecero pure la parte lignea dell’Altare Maggiore e di quelli del S. Cuore e di S. Giuseppe. Il fonte Battesimale è su disegno dell’architetto Ottavio Cabiati; la copertura in rame sbalzato fu eseguita da Riccardo Politi. Il magnifico bronzo dorato del battesimo di Gesù è di Salvatore Saponaro. Gli affreschi che circondano il Crocefisso e il quadro dei SS. Vitale e Valeria, come pure quelli dei quattro Evangelisti nelle lunette dell’Altare Maggiore, sono del pittore Angelo Sesti. Le statue che ornano le colonne sono tutte di legno scolpito.
Nell’ottobre del 1932 venne abbattuta la vecchia chiesina. Dai due altari di marmo, quello della Madonna fu donato alla chiesa dell’oratorio maschile S. Rocco e l’altro, con buoni intarsi, fu collocato nella sagrestia dei quadri del nuovo Santuario (Cappella di S. Caterina). Nel marzo dell’anno seguente, per l’interessamento e la munificenza dell’Ing. Giuseppe Cabiati, l’ Amministrazione Comunale dava inizio al magnifico viale del Santuario, al termine del quale veniva eretta nell’agosto del 1956 la colonna di granito con la statua della Madonna in marmo di Carrara.
Il 18 maggio 1944 Seregno, per bocca del suo prevosto Mons. Enrico Ratti, faceva voto alla Madonna che l’avrebbe incoronata se l’avesse preservata dai bombardamenti e dagli orrori della guerra. Il voto veniva adempiuto il 15 settembre 1946 e il Card. Ildefonso Schuster, a nome del Venerabile Capitolo Vaticano, poneva sulla fronte del Bambino Gesù e della Sua Madre le preziose corone tra il delirio indescrivibile di tutto un popolo.
Le corone sono d’oro massiccio con innumerevoli brillanti e altre pietre preziose, donate dai Seregnesi. Esse sono di stile rinascimentale con motivi di oreficeria lombarda e pinnacoli, palmette e arabeschi elegantissimi. Furono disegnate dagli architetti Ottavio Cabiati e Luigi Brambilla e vennero lavorate dall’orefice Merzaghi. Le corone che normalmente ornano l’immagine venerata sono una fedele riproduzione delle autentiche, che sono custodite in un posto sicuro. Con decreto arcivescovile del 20 giugno 1954 il Santuario (già affidato alle zelanti cure del Rettore Don Emilio Balossi) diventava Parrocchia e veniva nominato parroco Don Giuseppe Rimoldi, che si dedicò con impegno e dedizione allo sviluppo della nuova comunità parrocchiale sino al 1978, allorché gli successe l’attuale parroco Don Lino Magni.
Mancava il campanile: o, perlomeno, c’era solo il disegno, ideato dall’ing. Spirito Chiapetta, in stile gotico, come la chiesa. Per la verità, il giorno stesso dell’incoronazione della Vergine e del Bambino, era stata posta anche la prima pietra della torre campanaria. La quale, però venne realizzata parecchio tempo dopo.