Omelia dell’Arcivescovo in occasione del decimo anniversario della Comunità Pastorale.
1. Ora basta, Signore!
Una stanchezza insostenibile, un’esasperazione intollerabile: la vita non è più desiderabile, anzi, sarebbe meglio non vivere. Così geme il profeta perseguitato nella traversata logorante del deserto.
Forse anche così si può descrivere la condizione dell’umanità in questo nostro tempo, in questo territorio.
Una stanchezza che è diffusa dappertutto: nel lavoro e nelle preoccupazioni quotidiane, nei rapporti in casa, per le tensioni, le malattie, l’incompatibilità, nell’impressione del fallimento nell’impegno educativo, nella fatica di sostenere la lamentela sistematica verso chi ha ruoli di responsabilità, nella frenesia delle cose da fare che imprigiona persino i bambini. Una stanchezza che toglie anche il gusto delle cose belle. Ma che vita? Basta!
Una esasperazione angosciante: le notizie opprimenti delle guerre, della violenza in casa e nella vita sociale, del degrado, della diseguaglianza… che mondo è? Basta!
2. L’insistenza dell’angelo del Signore
In questo clima di stanchezza e di esasperazione si accosta a noi, come si è accostato a Elia, l’angelo del Signore e insiste per porre rimedio alla stanchezza e all’esasperazione.
L’angelo del Signore ci sveglia dal torpore della stanchezza e della depressione con i segni del prendersi cura di noi da parte di Dio.
Il pane, il pane vivo, disceso dal cielo, Gesù.
Non la manna, non un qualche surrogato di vita, ma il principio di vita eterna.
Ci sono forse quelli che preferiscono la manna, cioè quel tanto che basta per tirare avanti per un po’.
Ci sono di quelli che si domandano a che cosa possa servire un altare, quando possiamo sederci ad altre mense, mangiare e bene e dimenticare che viviamo di una via che finisce.
Ci sono quelli che non credono che ci possa essere una vita eterna.
Ci sono quelli che non vogliono convincersi che solo Gesù, proprio quel figlio di Giuseppe, proprio lui è disceso dal cielo per condividere con noi la vita di Dio, la vita eterna.
Noi invochiamo la grazia di essere istruiti da Dio per credere in Gesù e avere la vita eterna.
Il cammino nel deserto: con la forza di quel cibo camminò quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio, l’Oreb.
Il cammino non diventa più facile, per il fatto di aver mangiato il pane disceso dal cielo. Il deserto non diventa meno aspro.
Eppure le forze non vengono meno e l’uomo di Dio continua il suo andare, non come un andare via dai problemi e dalle insidie dei persecutori, ma come un andare verso il monte di Dio.
Il cammino dell’uomo ha una meta, il percorso può essere arduo, il contesto inospitale, ma chi si nutre del pane disceso dal cielo, chi cammina con Gesù, può giungere al monte di Dio.
Il cammino di un popolo
Il comando di Gesù raduna la comunità. la celebrazione del mistero che fa memoria della Pasqua di Gesù è la celebrazione della Chiesa, non è la devozione di un singolo.
Nella società dell’individualismo, si può corrompere anche la celebrazione eucaristica e trasformarla in un dovere privato. Invece il comando di Gesù e la raccomandazione di Paolo è al plurale. Il convenire per celebrare la memoria e la presenza del corpo donato per noi, del sangue versato per la nuova alleanza dà forma alla Chiesa, la comunità dei discepoli.
Non è solo un convenire di persone che hanno gusto a ritrovarsi, è l’essere convocati per una alleanza nuova che fa un popolo nuovo.
“Ora basta!” viene talora da dire.
Ma noi accogliamo l’angelo del Signore che ci tocca, ci sveglia, ci indica il cammino da percorrere e il principio della forza che lo rende possibile: il pane, la meta, il popolo.